lunedì 26 dicembre 2011

La sfera di metallo caduta in Namibia : un rottame spaziale

Svelato il mistero della sfera di metallo precipitata nel deserto della Namibia.
E' ormai accertato che si tratta di parte del terzo stadio del razzo vettore del Progress M-13M Soyuz-U, rientrato l'1 novembre alle 07:25 UT proprio sopra la Namibia.
Si tratta infatti di un serbatoio pressurizzato adibito all’alimentazione di propulsori per il controllo d’assetto di veicoli spaziali, come satelliti o veicoli destinati al rientro atmosferico. Gli elementi che lo rendono riconoscibile a chi è del settore, sono la classica saldatura delle due semisfere che lo compongono – dove trova sede il setto deformabile di separazione tra i due volumi interni di propellente (in genere idrazina o elio) e gas pressurizzante (solitamente azoto) – e le due estremità dove vengono fissati i condotti per il carico e lo scarico di propellente e pressurizzante. Pesi e dimensioni riportati (per quanto imprecisi) sono compatibili con questi componenti: 6 chilogrammi sono un peso ragionevole per taniche in lega di titanio dal volume compreso tra i 60 e i 100 litri (48÷59cm di diametro).

Non è tra l’altro l’unico caso che riguarda simili ritrovamenti. Negli anni diversi serbatoi sono stati recuperati in zone disabitate o desertiche e ciò non è un caso. La spiegazione è semplice e non c’è di che allarmarsi: non si tratta di avvenimenti incontrollati né frutto di leggerezze.

Quando un veicolo spaziale che orbita attorno alla Terra termina la sua vita operativa, se ne dispone il de-orbiting. Viene cioè speso il propellente residuo per “imboccare” una traiettoria di rientro atmosferico, fase nella quale la quasi totalità del veicolo viene disintegrata dall’attrito sviluppato dai gas atmosferici alle altissime velocità. È una fase necessaria, per evitare che veicoli privi di controllo rimangano in orbita mettendo a rischio gli altri satelliti presenti e futuri. Scegliere il momento esatto per effettuare la manovra di de-orbiting, anziché lasciarlo fare al caso (ciò che si trova a distanze inferiori ai 36000km dalla Terra prima o poi è destinato al rientro per effetto combinato di gravità e resistenza aerodinamica), significa anche scegliere una zona di possibile caduta dei detriti residui in zone disabitate, coperte dalle acque o desertiche.

Le strutture spaziali sono solitamente piuttosto esili, per esigenze di peso al “lancio” (la fase di ascesa che porta il veicolo al di fuori dell’atmosfera e dunque in orbita), ma vi sono alcuni componenti che necessitano di una robustezza particolarmente elevata per la funzione che ricoprono. Le taniche di propellente sono forse l’esempio più eclatante: dovendo resistere a pressioni nell’ordine delle decine di atmosfere, vengono realizzate in materiali robusti (leghe di titanio, di alluminio o acciai, talvolta fasciati in compositi di fibra di carbonio e/o kevlar) e con spessori consistenti.

I componenti più robusti possono sopravvivere al rientro in atmosfera, tra questi in particolare i serbatoi, come nel caso specifico della tanica recuperata – non a caso – nel deserto della Namibia.


Un serbatoio ritrovato in Brasile. A destra una serie di serbatoi del medesimo tipo (fonte: NASA)

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